VOLTERRA


Volterra fu un’importante città etrusca ma le fonti antiche non ci forniscono molte informazioni.Sappiamo comunque che nel periodo villanoviano sorsero sul sito di Volterra alcuni villaggi, ciascuno servito da una diversa necropoli, che nel corso del VII secolo a.C. si unirono in un unico insediamento che si installò nella parte più alta della collina: l’Acropoli; questi villaggi sono localizzabili solo in base alla disposizione delle rispettive aree sepolcrali. La prima fase urbanistica conosciuta di Volterra è databile alla fine del VI secolo a.C. sulla sommità della collina, circondata probabilmente da una cinta muraria. Intorno a essa dovevano svilupparsi sobborghi distribuiti lungo le principali direttrici viarie.

Nel corso del IV secolo a.C. si assiste a un grande sviluppo economico della città: aumento delle esportazioni, emissione di una propria moneta e ricchi complessi funerari sono le prove principali di questa ricchezza economica. Tale fenomeno interessò praticamente tutta l’Etruria Settentrionale ed è collegabile con il declino etrusco sulla pianura Padana, causato dalle invasioni galliche, e con l’espansione della città di Roma: questi due avvenimenti causano una progressiva contrazione del territorio etrusco e un aumento di importanza delle città più settentrionali come Arezzo, Chiusi, Fiesole e Volterra. Una data significativa nella storia di Volterra è il 90 a.C. quando, per effetto della Lex Iulia de civitate, i suoi abitanti acquisirono la cittadinanza romana entrando a far parte della tribù Sabatina. Lo schieramento della sua popolazione a favore di Gaio Mario durante la guerra civile fu la causa di un lungo assedio da parte delle truppe fedeli a Silla, che conquistarono la città nell’80 a.C. A causa di questa sconfitta militare la città perse il suo status giuridico derivatogli dalla Lex Iulia, insieme a ogni diritto di essere un municipium, come ci è testimoniato dalla requisitoria di Cicerone in difesa degli interessi di un membro della famiglia volterrana dei Cecina.

VULCI


A causa delle poche fonti letterarie, la storia di Vulci viene ricostruita solo con i dati archeologici. Molti i contatti culturali sia con le zone più vicine come Bisenzio, Statonia, Sovana e Chiusi, sia con terre più lontane come la Sardegna.

La fine del VII secolo a.C. è l’inizio del periodo aureo della città, divenuta non solo un ricercato mercato di prodotti di importazione, ma anche un importante centro produttivo di ceramiche dipinte e bronzi. Eloquente testimonianza degli stretti legami che Vulci ha con il mondo greco ci viene “raccontata” dalla ceramica etrusco-corinzia qui prodotta: vasi dipinti a figure nere realizzati da maestranze greche immigrate, come il cosiddetto “Maestro della Sfinge Barbuta”. Il territorio di Vulci, inteso in senso politico e di influenza culturale, si estendeva dalla foce dell’Arrone fino a Talamone, con propaggini fino al lago di Bolsena e al Monte Amiata. La vicinanza del fiume Fiora, navigabile, costituì un’importante posizione strategica per i contatti e i commerci con i centri dell’entroterra e un collegamento alle zone minerarie.

Il VI-V secolo a.C. è il periodo di maggiore potenza della città, che deve aver esteso la sua egemonia anche in terre più remote, se correttamente è stato interpretato il significato dell’affresco storico della Tomba François. Si ricorda al riguardo che si è anche voluto attribuire a Vulci un posto preminente nella penetrazione etrusca in Campania. Comunque, quale che fosse la sfera di egemonia della città, l’opulenza di Vulci appare veramente straordinaria: il numero e la qualità dei vasi attici deposti nei corredi, l’importanza e il livello dell’industria artistica della ceramica e del bronzo, l’incremento demografico manifestato dall’aumento vertiginoso del numero delle tombe, sono tutti elementi che confermano tale opulenza, che dura senza interruzioni fino alla metà del V sec. a.C.

Il conflitto sfortunato con Roma non sembra influenzare, almeno in un primo momento, l’autonomia e il benessere della città; ma la deduzione della colonia di Cosa (273 a.C.), che toglie a Vulci parte del territorio e lo sbocco sul mare e, successivamente, la guerra annibalica, causeranno tra il III e il II secolo a.C. un progressivo impoverimento della metropoli etrusca, che in seguito alla guerra sociale (cui non sappiamo se abbia partecipato) diverrà un modesto municipio ascritto alla tribù Sabatina e retto da quattuorviri.

CORTONA


Cortona viene ricordata da Livio, insieme ad Arezzo e Perugia, tra le più importanti città dell’Etruria alla fine del IV secolo a.C. Città della Toscana posta su un’altura nella Val di Chiana, le fonti indicano come suoi fondatori Nanos-Ulisse o Korythos e ricordano i Pelasgi e gli Umbri tra i suoi primi abitanti. Un’altra tradizione, conosciuta da Virgilio, parla di Dardano come mitico fondatore della città, dopo una sua vittoria sui Pelasgi. Nelle fonti latine Cortona inizia a comparire solo con il 310 a.C. quando, sconfitta insieme con Arezzo e Perugia dal console romano Rulliano, chiede e ottiene una tregua di 30 anni. Durante le guerre puniche la città è menzionata in occasione dello scontro avvenuto presso il Lago Trasimeno. Alcune iscrizioni di epoca imperiale attestano che Cortona era un municipio. La ricostituzione delle città etrusche della Lega, avvenuta sotto Augusto, previde l’ammissione anche di Cortona tra i XV populi Etruriae.

Le testimonianze archeologiche documentano la presenza di principes alla fine del VII secolo a.C. e soprattutto, nei secoli in cui altrove si erano sviluppati già significativi poli urbani, qui a Cortona permangono ancora strutture sociali di tipo gentilizio. Le celebri tombe a tholos di Camucia e del Sodo I e II rientrano in questa atmosfera socio-culturale. Le tombe di Cortona hanno restituito magnifici reperti di bronzo come il celebre “lampadario” e bronzetti votivi tra cui il noto fanciullo con l’oca al Museo di Leida, recante una dedica alla divinità Thufltha. Alla ricchezza della documentazione da necropoli si contrappone la scarsità di testimonianze archeologiche dall’area urbana. Sappiamo comunque che la città aveva una poderosa cinta muraria, realizzata in gran parte in opera pseudo isodoma, lunga più di 2 km e ascritta per ora in via ipotetica al V secolo a.C.

AREZZO


Il sorgere e poi il fiorire di Arezzo etrusca è dovuto alla sua particolare posizione presso una fertile vallata che permetteva la coltivazione di cereali, dell’ulivo e della vite, all’imbocco del fiume Clanis (Chiana) allora tributario del Tevere e navigabile, che permetteva quindi anche facili comunicazioni con Chiusi e con l’Etruria meridionale. Oltre che alla Val di Chiana e alla Val Tiberina la città era collegata con il Valdarno e con il Nord, con l’area dell’Emilia Romagna. L’importanza di Arezzo come nodo stradale è testimoniata anche dal santuario extraurbano presso la porta San Lorentino, dove si apriva una via di comunicazione verso Fiesole e Firenze, dal quale proviene la celebre Chimera di bronzo, il cui rinvenimento nel 1553 è uno dei più sensazionali episodi della riscoperta dell’antico in età rinascimentale. L’iscrizione sulla coscia sinistra della Chimera la definisce come un dono offerto a Tinia. Essa è ritenuta parte di un gruppo scultoreo il cui protagonista era Bellerofonte a cavallo di Pegaso, ma di recente M. Cristofani ha ipotizzato che potesse anche essere una statua isolata, simbolo di forze ctonie, a difesa del culto in un santuario al confine del territorio cittadino.

Della specifica vocazione di Arezzo alla lavorazione del bronzo ce lo dicono anche le fonti che riferiscono del grande quantitativo di armi e di attrezzi che Arezzo cederà a Scipione per la spedizione in Africa (Liv., XXVIII, 45, 13-20). La costruzione della via Clodia (187 a.C.) e della Cassia (171 a.C.) enfatizza la posizione di snodo stradale di Arezzo sia come città di confine tra il territorio sottoposto a Roma e quello degli Italici, sia come via di comunicazione tra Roma e la Padania. Dopo l’intervento distruttivo di Silla volto a punire Arezzo che aveva parteggiato per Mario, la città viene completamente romanizzata. L’aristocrazia aretina è in piena ascesa, non solo per le cariche pubbliche che riveste a Roma, ma anche per i legami stabiliti con famiglie senatorie romane con interessi nell’aretino. Le numerose ville che si dispongono sulle colline intorno alla città segnano una nuova floridezza dell’agricoltura di cui parlano anche le fonti (Plin., Nat. hist., XIV, 36; XVIII, 87), che decantano la fama della viticoltura e dei cereali di questa città.

VETULONIA


L’antica Vetulonia sorgeva su un’altura che oggi domina la pianura ma che un tempo era occupata dal mare. Già in epoca romana i depositi della Bruna (il fiume che separa la collina di Vetulonia da quella di Roselle) e dell’Ombrone avevano chiuso l’imboccatura della baia, trasformando l’insenatura marina in un lago, il lacus Prile. Inoltre una via interna che, risalendo l’Ombrone, si addentrava sulle colline senesi, congiungeva Vetulonia con Populonia, con Saturnia e con Marsiliana. Importante centro commerciale, finì col tempo a trovarsi a competere con la vicina Roselle. Fino al V secolo a.C. Vetulonia conobbe un periodo di grande floridezza economica, a cui seguirono una temporanea crisi ed una ripresa durante il III secolo a.C., epoca in cui la città coniò una propria moneta, il cui simbolo, in cui appare un’ancora o dei delfini o un tridente, ricordava l’origine marittima della città.

Vetulonia è ricordata da Dionigi di Alicarnasso (III, 57), insieme a Roselle, Chiusi, Volterra e Arezzo, per gli aiuti che promise ai Latini nella lotta contro Tarquinio Prisco. Per Silio Italico (VIII, 484-489) Vetulonia dette a Roma i simboli del potere: i fasci con la scure dei littori; la sedia curule d’avorio; la toga con la fascia di porpora e la tromba di guerra. Plinio (Nat. hist., III, 57), descrivendo la divisione amministrativa dell’Etruria sotto Augusto, ricorda i Vetulonienses nell’elenco dei comuni. Nulla ci è stato tramandato riguardo l’occupazione di Vetulonia da parte dei Romani, tuttavia questa deve essere avvenuta pacificamente, al più tardi nel 241 a.C., negli anni in cui fu costruita la via Aurelia, sulla quale Vetulonia veniva ad avere una posizione dominante. Nulla può essere precisato sull’estensione del territorio della più antica Vetulonia, ma la sua floridezza nel VII secolo a.C. non poteva non esser legata allo sfruttamento commerciale delle miniere delle Colline Metallifere; è quindi molto probabile che i piccoli centri presso il Lago dell’Accesa, a sud di Massa Marittima, fossero dipendenti da Vetulonia.

CHIUSI


La ricchezza e l’importanza che la città ebbe fin dal periodo arcaico (VII-VI secolo a.C.) è testimoniata dai corredi delle tombe a pozzetto. L’importanza avuta dalla città nel VI secolo a.C. è echeggiata dal mito di Porsenna, che giunse a conquistare Roma. Antica città etrusca che dominò un vasto territorio comprendente la Val di Chiana e la Val d’Orcia, Chiusi dovette la sua ininterrotta prosperità a una solida economia agricola e a un’intensa attività commerciale legata allo sfruttamento di importanti vie naturali di comunicazione, prima fra tutte quella che, seguendo i corsi del Tevere, della Chiana e dell’Arno, raggiungeva l’Emilia, alla cui colonizzazione Chiusi partecipò attivamente. Secondo Servio, Chiusi fu una delle più antiche città etrusche, notizia confermata da scavi recenti, che hanno messo in luce due villaggi dell’età del Bronzo Finale nel sito in cui si sviluppò la città antica.

La città raggiunse il suo massimo sviluppo nel corso del VI secolo a.C., periodo a cui risalgono i primi contatti con Roma e alla fine del VI secolo a.C. risale l’impresa del re Porsenna. Re etrusco di Chiusi, Porsenna secondo la tradizione vulgata romana, avrebbe tentato di ricondurre Roma sotto la signoria di Tarquinio il Superbo, assediando la città e ponendo il suo campo militare sul Gianicolo: respinto più volte dai Romani, Porsenna avrebbe desistito dall’impresa. Secondo un’altra tradizione invece (Tacito) Porsenna avrebbe ottenuto la resa di Roma imponendo un trattato per cui era vietato ai Romani l’uso del ferro, fatta eccezione per gli aratri (Plinio il Vecchio); questa versione potrebbe rispecchiare il ricordo di una dominazione etrusca che i Romani avrebbero invece cercato di mascherare. Infine, la guerra civile tra Mario e Silla, in cui Chiusi fu coinvolta, devastò una città che già risentiva della crisi generale dell’Etruria. Silla vi dedusse una colonia militare, forse la Clusini Novi citata da Plinio.

ROSELLE


Roselle era situata in una posizione geografica particolarmente interessante: dominava il versant sud-orientale del “lago” Prile, via naturale di comunicazione con il mare e le città costiere, mentre il fiume Ombrone, presso la cui foce Roselle sorgeva, rendeva possibile il commercio con la Val d’Orcia e le città dell’Etruria interna. Anche se sono attestate tracce di frequentazione di età preistorica e protostorica, Roselle venne organicamente abitata a partire dalla prima metà del VII secolo a.C., probabilmente in seguito ad un fenomeno di sinecismo, che interessò i gruppi umani che abitavano i villaggi dei territori circostanti. Le motivazioni che portarono, nel VII secolo a.C., alla scelta di quest’area per un insediamento urbano, possono individuarsi nell’ampio e fertile entroterra adatto alla coltivazione, nella possibilità di controllare determinate vie di comunicazione (approdo sul “lago” Prile, confluenza dell’Ombrone con il mare) e nella naturale possibilità di difesa del luogo.

Nell’ambito delle scarse fonti letterarie su Roselle, è particolarmente importante ricordare Dionigi di Alicarnasso che nomina Roselle insieme a Chiusi, Arezzo e Volterra per aver promesso aiuti ai Latini contro Tarquinio Prisco (fine del VII sec. a.C.). La notizia può essere considerata indizio che Roselle doveva essere già organizzata come città in età orientalizzante, se era in grado di fornire forze militari al pari di centri etruschi ricchi, prosperosi e di più antica fondazione. La conquista romana nel 294 a.C., ad opera del console Lucio Postumio Megello, è ricordata da Livio. L’archeologia non documenta questa data e le testimonianze dei primi due secoli dopo la conquista sono scarse. Uno strato di distruzione per incendio, datato ai primi decenni del I secolo a.C., fa ritenere che anche Roselle sia stata coinvolta nelle distruzioni operate da Silla, così come era accaduto ad altre città etrusche (Talamone, Vetulonia, Populonia, Volterra e Fiesole). Con la Lex Iulia e con la Lex Plautia-Papiria, gli abitanti di Roselle, sottomessi da Roma, furono inseriti nella tribù Arnensis e divennero cittadini romani.